Non sono né la performance né la gloria ad averci attirato su questa gara mitica della vallata di Chamonix, ma ovviamente i panorami mozzafiato e l’attimo fuori dal tempo che offre questo formato di trail XL. In verità, pensavamo di non avere alcuna possibilità di parteciparvi. L’aspetto casuale di questo sorteggio ci lascia perplessi. Ma “chi non prova, non ottiene nulla” essendo il nostro motto preferito, abbiamo provato.
Marin sognava di superare la famosa soglia degli 80 km per chiudere il suo primo ultra-trail, la Saintélyon non essendone ufficialmente parte. Io avevo sete di chilometri in montagna, nella valle che considero la mia preferita.
Prima vittoria: ottenere il nostro lasciapassare, il nostro pettorale. È dunque nella capitale mondiale del trail che avevamo appuntamento il 23 giugno 2023, alle 4:00 del mattino, nella piazza mondialmente nota del triangolo dell’amicizia, per correre i 90 km del Marathon du Mont Blanc.
La partenza: Chamonix, ore 4 del mattino.
Dopo aver meticolosamente riempito i nostri zaini da trail con il materiale obbligatorio, vale a dire: una lampada frontale con batteria di ricambio, un telefono carico, 3 flaconi riempiti per metà d’acqua e per metà di bevande energetiche, la nostra giacca gore-tex, uno strato caldo, la nostra coperta di sopravvivenza, il nostro bicchiere, ci siamo diretti verso la linea di partenza. Già sognavamo quello che questo percorso montano tanto temuto ci avrebbe offerto. E a ragione: le numerose testimonianze raccolte nei mesi precedenti ci avevano fatto venire l’acquolina in bocca: “magnifico”, “di livello stratosferico”, “splendido”, “estremamente difficile”, “bello e impegnativo”. Per non parlare delle espressioni che ci sembravano quasi esagerate, ma che oggi ci appaiono pienamente giustificate: “ouch”, “aaaah sì”, “olala”, “beh”… .
In programma: 92 km con 6.340 m di dislivello positivo, tra sentieri sassosi, alpeggi verdissimi, piste 4x4 e nevai scivolosi. La promessa di una grande varietà e la presenza di una tecnica esigente.
La notte è stata corta, i nostri occhi gonfi e le gambe intorpidite non ci mettono in gran forma. Meglio così: l’orgoglio arriverà più tardi. È il momento della concentrazione. L’atmosfera alla partenza è calma. Alle 4 del mattino la festa ha i suoi limiti. Il vantaggio è che questo ci evita un picco di endorfine, generalmente seguito da un calo alcune decine di chilometri più avanti (pok Pierre Le Clainche).
Siamo posizionati nel SAS 2. Sul sagrato della chiesa contempliamo la prima ondata partire, con l’impazienza di essere finalmente chiamati. L’emozione ci assale spesso alla partenza di una simile distanza. Questa volta non è un’eccezione. Sentiamo già dei brividi correre sotto la pelle.
Quando arriva il nostro turno, ci piazziamo tra gli ultimi 50 partecipanti. Evitare la calca e i gomiti mi sembra una buona idea. Errore che ci costerà poi. Poco importa.
5, 4, 3, 2, 1, si parte! I primi chilometri si fanno sull’asfalto, per le strade di Chamonix. Thomas, il nostro assistente, ci aspetta qualche passo più avanti, negli ultimi metri prima di perderci nella foresta chamoniarda. Ripeto a Marin l’importanza di essere saggi. Sempre. Non lasciarsi mai trasportare è la chiave del successo. Fatta eccezione per l’ultima fase, cioè 80 km più avanti, se le gambe vorranno ancora. Ma di questo parleremo più tardi. La concentrazione deve essere totale.
Siamo prudenti. Molto prudenti. Troppo prudenti. Così prudenti che la prima salita risulta spezzettata. Si formano code al minimo dislivello del terreno, interrompendoci nettamente nell’andatura. Mi rassicuro pensando che avremo tempo per recuperare il ritardo più avanti. La salita è lunga. Molto lunga. Si fa a lume di frontale, gli occhi fissi sui piedi. L’impazienza di entrare nello “stato dell’ultra” ci colpisce già in pieno, quasi quanto l’eccitazione della nostra presenza.

Tappa 1: Chamonix - Col des Montets
Il giorno si leva e la notte lascia il posto ai dolci colori dell’alba. Salamo a tornanti, in fila dietro agli altri corridori. È ora dello spuntino. Sgranocchio una purea e Marin una barretta Naak, senza dimenticare di inghiottire la nostra capsula di sale. I crampi non sono i benvenuti!
Arriva presto il momento di togliere la frontale. È un sollievo per me, che attendevo con impazienza la (ri)scoperta di questo sentiero magico. Attraversiamo alcuni nevai mentre contempliamo la bellezza delle montagne al mattino. Dietro di noi il sole illumina il Mont Blanc e l’Aiguille du Midi. Davanti a noi il sentiero si disegna in tornanti estetici. Seguiamo il ritmo. In cima al Brévent si presenta un passaggio divertente (o meno). La famosa scivolata sulla neve, come primo ostacolo! Siamo al punto culminante del percorso: 2474 m di altitudine. Una pendenza di neve, piuttosto ampia, ci lascia comunque la scelta: scendere con prudenza affondando i talloni e piantando saldamente i bastoncini nella neve, oppure scendere efficacemente, sedendosi quasi come su una slitta rischiando di irritare il posteriore (in linguaggio politically correct).
Non esito un attimo, mi lancio con i bastoncini da trail tenuti insieme nelle mani in alto. Per fortuna non esiste l’immortalizzazione di questo passaggio! O forse sì… Marin mi segue, prima che ci accorgiamo dei danni della nostra follia. Bruciature si disegnano sotto i nostri short da trail, esattamente dove gli sfregamenti sono difficili da tollerare! Tuttavia non è il momento di piangersi addosso! Dobbiamo mantenere un ritmo.
La discesa successiva è di una tecnicità temibile. La notte precedente, la tempesta aveva impregnato tutto il sentiero. Le cadute e le ferite si accumulano e ci riportano con i piedi per terra. Prudenza, prudenza… La traversata verso Planpraz è bella. Molto bella. Thomas ci aspetta lì per un rifornimento veloce. Abbiamo il sorriso e una voglia terribile di andare avanti!
La traversata verso La Flégère si svolge sotto lo sguardo attento dei camosci mattutini appollaiati sulle alture delle Aiguilles Rouges. Il loro passaggio mi tocca profondamente. Ho letteralmente le lacrime agli occhi. È stanchezza o semplicemente l’emozione suscitata da tanta bellezza? Sicuramente entrambe. Mi sento privilegiata e l’onnipresenza dei concorrenti, che mi lascia un sapore amaro in questo inizio di gara, non intacca la mia gioia.
Il sentiero alterna discese e salite, poi rilanci e di nuovo salite. Un passaggio faticoso per i muscoli, ma che vale la contemplazione. Passiamo alla Tête au Vent, sotto il sentiero che conduce al celebre lac Blanc. I camminatori in senso contrario ci incitano già. Sono sbalorditi dalla nostra sfida e ci coprono di complimenti, tutti più commoventi gli uni degli altri. Non lo sanno, ma le loro parole ci danno energia!
La discesa richiede ancora grande concentrazione. Marin passa davanti sotto i miei incoraggiamenti. In quanto bretonne espatriata, non padroneggio totalmente le tecniche. Lui non si pone domande e “spinge”, come amiamo dire nel gergo. Mi prendo il mio tempo prima di ritrovare Thomas in basso, al Col des Montets, per una ricarica temporizzata delle mie borracce assetate.

Tappa 2: Col des Montets - Emosson
La prossima grande tappa: il Buet. Una lunga, lunghissima discesa ci permette di correre per qualche chilometro. Le cosce iniziano a scaldarsi ma “è proprio questo che ci piace” e soprattutto, ciò che siamo venuti a cercare! Un rifornimento completo è predisposto per permetterci di recuperare le forze. Solo che abbiamo appena 10 minuti sul tempo limite. La nok dovrà aspettare!
Riempiamo le nostre scorte di nutrizione, le nostre flacche d’acqua e a malapena abbiamo il tempo di sederci che sentiamo i volontari con tono grave: “più che 5 min prima della chiusura della barriera oraria, affrettatevi a passare per non essere eliminati”. Non abbiamo scelta, dobbiamo ripartire. Lo stress attraversa il mio stomaco fino in gola. Ho il mal di pancia. Non tollererei l’eliminazione a causa delle barriere orarie. Fuori discussione! Né per Marin, che vive la sua prima esperienza, né per il mio ego.
Ripartiamo determinati come mai. L’obiettivo: non perdere tempo. Penso allora a tutte le persone che abbiamo infine superato qualche chilometro più avanti, il cui tempo sembra scorrere…
Le temperature salgono e comincia a fare molto caldo! La salita verso il chalet de la Loriaz è magnifica. Cascate decorano il paesaggio verde e fiorito, con sullo sfondo l’alta montagna maestosa. Vorrei fermarmi e prendermi il tempo per ammirare. I colori sono sublimi e ci scaldano il cuore. Un pipì veloce mi costa un piccolo deviazione fuori sentiero, che mi permette di respirare un po’. So che le barriere orarie sono vicine. Non mi trattengo. È già mezzogiorno e siamo a 8 ore di gara, 34 km. Mancano 58 km. “Mancano”… Sulle 5 ascensioni del percorso ne abbiamo segnate 3. La più temuta è ancora da affrontare. Bisogna andare veloci, ma preservandosi. Non perdiamo tempo!
La discesa su La Villaz scorre bene. Ci aspetta una sorpresa: la famiglia di Marin e il mio nonno di cuore ci aspettano accanto a Thomas. Questa volta abbiamo il cuore in festa! Abbiamo recuperato un po’ di tempo sulle barriere orarie, il che ci lascia 15 minuti per riposare. Dopo un piccolo spalmata di Nok, frutta fresca e molta acqua, siamo ricaricati come mai! Pronti a rimetterci in moto. Direzione: la diga di Emosson.
Temevo questa salita perché si trova nel cuore di una piccola conca esposta, in cui i tornanti si susseguono senza fine, prima di sbucare sul meraviglioso lago artificiale di Emosson. La vista in cima è incredibile, ma si conquista col sudore della fronte. Ho preparato Marin mentalmente a questa difficoltà. Risultato: l’abbiamo inghiottita, divorata. È passata, diremo “come una lettera per posta”.
La ricompensa è confortante: ci sediamo per una sessione di massaggio offerta dal nostro assistente, frutta fresca e succosa come rifornimento e un piccolo panino che rimette a posto lo stomaco.

Tappa 3: Emosson - Tête de balme
Briefo Marin sulla discesa successiva: una pista 4x4 che scende regolare. Un gioco da ragazzi e una bella parte divertente ci aspettano!
SBAGLIATO. L’itinerario che pensavo non è quello scelto dall’organizzazione. Ci ritroviamo su un sentiero scosceso, a scavalcare tratti accidentati, aggrappandoci non senza fatica a catene installate, facendo attenzione a non rotolare sui concorrenti, che dal nostro punto di vista sembrano più camminare sopra uova che su un sentiero terrezzato. In sintesi: questa discesa mi frantuma il morale. Non me ne riprendo subito, ma provo a mantenere la testa fredda. Lo stato delle nostre condizioni è soddisfacente: le gambe stanno bene, l’alimentazione si sta digerendo, l’idratazione anche e l’energia generale, seppur leggermente scarica, non è a terra. Uff! Tutto va bene.
Arrivati a Le Chatelard, al chilometro 47, i nostri assistenti, il cui ruolo è perfetto, ci incoraggiano forte. Il proseguo si annuncia duro, ma bello. Ma duro. Riprendiamo comunque a correre sul piano, prima di arrivare ai piedi del col des Posettes, una delle mie camminate preferite. Dopo 11h30 di gara non è più così “accessibile” (risata). Adottiamo un piccolo ritmo che ci permette di seguire la cadenza e di recuperare compagni incontrati prima sul percorso. Il sentiero attraversa prima un bosco che ci mantiene al fresco, prima di rivelare le sue praterie soleggiate che, ammettiamolo, ci mettono alla prova.
A Catogne sono le 17:30. Il piccolo ruscello che dobbiamo scavalcare si trasforma in una fontana perfetta per rinfrescarci la testa (e le idee). Il paesaggio è così bello che vorremmo sdraiarci sull’erba e restare a contemplare gli alpeggi per ore. Ma questo non è l’obiettivo di questa avventura. La risalita si fa più ostica, con avvallamenti nel mezzo del sentiero, poi costellata di pietre ardesia su cui il sole brilla. Passiamo proprio sotto la Tête d’Arolette.
Il peggio arriva qualche minuto dopo, durante un “cavallone” gigantesco che ci fa attraversare “dritti nel pendio”, su un’erba in parte bruciata che costeggia la risalita meccanica vicino a la Tête de balme. Stringiamo i denti, prima di arrivare in cima a questa difficoltà, finalmente!

Tappa 4: Tête de Balme - Le Bois
Il momento migliore di questa parte tecnica arriva: la discesa tanto attesa verso il col des Posettes, dove corriamo a buon ritmo, apprezzando ogni passo che ci allontana da Catogne. Thomas e la sorella di Marin ci accompagnano fino in basso, dove si delinea la tappa fatidica del Tour davanti a noi. Sento alcuni accompagnatori pronunciare frasi tipo: “hai visto come sono freschi, è incredibile”, passando accanto a noi, il che mi rassicura e mi fa sorridere allo stesso tempo. Le apparenze ingannano.
Il Tour. Il paese. Conosciamo fin troppo bene questo villaggio in fondo alla vallata, che ci permette di collegare la Svizzera tramite il col de Balme, estate come inverno. Ora siamo a 55 minuti di vantaggio sulla barriera oraria. L’ultimo colpo di pressione ci ha dato le ali! Sento l’emozione venire a salutarmi ancora una volta.
In questa base vita, mi prendo il tempo di togliere le scarpe per arieggiare i miei piedi già provati dai 63 km percorsi, e sonnecchio qualche minuto per “rifarmi la ciliegina”. Marin fa lo stesso, nonostante la sua impossibilità a chiudere occhio, tanto i sentimenti si mescolano. È calmo. Sempre. Concentrato, stanco e determinato. I 28 gradi sul termometro non impediscono l’arrivo dei brividi e quasi tremo. È ora di ripartire.
In un attimo siamo in piedi, zaino in spalla, cappellino calato in testa e lacci dei bastoncini infilati ai manici. In programma: 10 km di falso piano in discesa. “Marin, corriamo tutto il tempo. Piano, ma non ci fermiamo. Ok? - Ok”. Marin temeva questa parte scorrevole, che richiede di correre senza fermarsi a lungo. Alla fine porta con sé un enorme piacere. Le gambe scorrono perfettamente e la nostra testa si compiace di questo ritmo più sostenuto!
Dopo 10 chilometri arriviamo all’ultimo rifornimento in fondo alla valle della gara, proprio prima del ritorno a Chamonix: Les Bois. Tutta la famiglia è presente. Mi sento travolta da un sentimento di soddisfazione, mentre gli occhi lucidi di Marin parlano da soli. La fine si avvicina, ma ci resta l’ultima difficoltà del percorso: l’ascesa al Montenvers, sopra la mer de glace, che di solito è piacevole o addirittura impressionante, ma che per noi si svolgerà di notte.
Rimettiamo la frontale e si riparte! Mancano solo 16 chilometri da percorrere. Cosa sono 16 km, su 92? Una briciola sul tavolo!

Tappa 5: Les Bois - Chamonix
Procediamo a ritmo sostenuto, il che ci permette di sorpassare i concorrenti lungo il percorso. Ripartiamo sui falsi piani in salita e manteniamo un buon ritmo fino all’ultimo ingorgo. Il sentiero si trasforma in enormi cumuli di gradini in pietra, sui quali è impossibile sorpassare senza rischiare. Così attendiamo. I compagni intorno a noi sospirano, poi gemono. Alcuni imprecano mentre altri si fermano sul bordo, esausti. Cerco di non vacillare nonostante la difficoltà. Ho la gola serrata. Mi dimentico di Marin, che come una macchina avanza, passo dopo passo, senza proferire parola.
Più saliamo, più il tempo sembra allungarsi. Ho le lacrime che scorrono, discretamente. Non so dire esattamente quando entriamo nell’ultra. A volte dopo 50 km. A volte dopo 120. Nei 90 km del Marathon du Mont Blanc, quello che è certo è che al 76° chilometro ci siamo dentro. Le gambe sono pesanti, i piedi dolenti, le palpebre cadenti e le braccia meccanicamente piantano i bastoni uno dopo l’altro, con l’inutilità di un cucchiaio forato.
Sento Marin molto commosso. Lo seguo anch’io. Idee mi attraversano la mente e mi chiedo il senso di tutto questo. Perché imporci tanta sofferenza? A che serve percorrere tanti chilometri, andare avanti per tante ore?
Queste idee, oscurate da pensieri neri, vengono scacciate di fretta: arriviamo al rifornimento transitorio, prima dell’ultima parte di questa infinita ascensione. Dobbiamo ora raggiungere Le Signal. Quando molti corridori, allo stremo, si prendono lunghi tempi di sosta, noi optiamo per la rapidità. Indossiamo le giacche e ci avviamo nella notte. Siamo quasi soli. Per la prima volta del percorso ci ritroviamo isolati dagli altri. Mi sento rinascere, respirare. È al contempo spaventoso ed eccitante. Riprendiamo poi una coppia il cui ritmo efficace mi convince a mettermi nelle loro scarpe. Spengo il cervello e avanza come un robot.
Il cambio arriva finalmente. Siamo a Montenvers, sopra la mer de glace che non distinguiamo perché la notte è troppo nera e i nostri spiriti addormentati. Pensavamo di correre durante la traversata di 2 km che collega Montenvers al Plan de l’Aiguille. Ci ritroviamo infine nel trenino dei corridori, con il gas a destra e il ruscello a sinistra. L’unica opzione è mettersi in fila e pazientare durante questi 5 km di cammino retrogrado. Il sentiero è tecnico ma ha il vantaggio di offrirci una vista mozzafiato sulla valle illuminata. Se la nostra attenzione fosse totale, potremmo scorgere l’arco di arrivo, 1000 m più in basso.
Questa traversata è la più lunga di tutte. Quella che era così bella e piacevole nei miei ricordi si trasforma in un incubo sveglio. La pazienza non è la mia prima qualità, dunque uso le poche forze rimaste per trattenere le lacrime. È lungo, è duro. Una cosa è certa: ci sentiamo terribilmente vivi!

Quando finalmente arriva l’ultimo rifornimento di questa avventura, ci sentiamo sollevati. Ci resta solo una discesa e saremo arrivati. Questa prospettiva ci ricarica. Sento una ondata di energia attraversarmi e il sorriso di Marin si disegna di nuovo sul suo volto stanco. Scateniamo la discesa, saltando sopra le radici, evitando illusoriamente i sassi, quasi scivolando nelle curve più strette. Perdo l’equilibrio quasi ad ogni passo, ma non mi importa. Siamo quasi arrivati. L’eccitazione è alle stelle!
I tre quarti di questa discesa su Chamonix scorrono a tutta velocità tanto la concentrazione e l’energia guidano i nostri passi. Ma il mio piede incappa in una pietra che sembra avermi spezzato l’unghia. Verso una lacrima di dolore prima di mettermi a camminare al mio passo più veloce, come un burattino smembrato. Marin si spazientisce dietro, ma mi segue, deciso, dopo tanto percorso, a tagliare la linea al mio fianco, costi quel che costi.
Man mano che scendiamo, gli edifici riprendono la loro reale imponenza e le luci trapelano attraverso il fogliame degli alberi. La gioia mi invade alla vista del parcheggio dell’Aiguille du Midi. Mettiamo piede a terra. Siamo a 2 km dall’arco d’arrivo. Ci resta solo percorrere le strade di Chamonix, il paese. Questo villaggio che amiamo tanto! Sono le 2:30 del mattino. Incrociamo persone ubriache lungo il cammino che, incoraggiandoci, ci soffiano il loro alito troppo carico (Hanno bevuto della birra? Forse del génépi?).
Ritroviamo Thomas, la famiglia di Marin e il mio nonno di cuore con la sua campana in mano. “Suonerà quando varcherete la linea d’arrivo ma non prima”, ci aveva assicurato. La tradizione obbliga. Eccoci. Ludovic Collet ci annuncia al microfono. Siamo finisher, dopo 22h30 di sforzo. L’emozione si mescola alla fatica. Mettiamo un punto finale all’inferno di quest’ultima parte. Questa discesa finale che ci sembrava senza fine... Prima ancora di realizzare il nostro arrivo, avevamo la nostra medaglia al collo! La medaglia tanto attesa. La medaglia della vittoria. La nostra vittoria. Quella di esserci stati. Di aver vinto!
Alla fine, credevamo di non provare più piacere sul momento, poche ore prima, ma dimentichiamo quanto il nostro piacere sia nella sofferenza. Dimentichiamo quanto l’ultra-trail ci faccia sentire allo stesso tempo, minuscoli e terribilmente grandi! Ne abbiamo preso coscienza quando tutto è finito. Allora, per tutte queste emozioni provate, per questo compimento personale e il superamento che ci avete offerto, caro 90 km du Mont Blanc: GRAZIE!